Alcune grandi multinazionali, tra cui Coca-Cola, aderendo alla campagna Stop Hate for profit hanno sospeso gli investimenti pubblicitari su Facebook fino alla fine di luglio dichiarando in questo modo di voler combattere il razzismo e la violenza sui Social.
Il primo impatto sui conti del gruppo di proprietà di Mark Zuckerberg è stato devastante.
Nella prima giornata di contrattazioni successiva al lancio della campagna il titolo Facebook ha infatti perso l’8,6% bruciando in poche ore miliardi di dollari di capitalizzazione.
E ora, cosa succederà?
Come nasce Stop Hate for Profit ?
La campagna Stop Hate for profit proviene dalla ‘pancia’ di Sleeping Giants, organizzazione ben nota per il proprio attivismo sui social.
Fondata nel 2016 la struttura nasce esplicitamente per perseguire il boicottaggio delle inserzioni pubblicitarie sulla stampa conservatrice e combattere il proliferare delle fake news sul web.
Fra le azioni più clamorose di Sleeping Giants la campagna lanciata via Twitter per il sabotaggio di Breitbart News. Il sito web vicino alla destra americana che aveva dichiaratamente appoggiato Donald Trump nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti.
Stop Hate for Profit oggi prende di mira Facebook che, affermano i sostenitori della campagna, non farebbe nulla per ripulire le sue pagine dalla violenza e dall’odio razziale nonostante gli oltre 70 miliardi di dollari di fatturato annuo. Un fatturato che, affermano sul proprio sito , è composto al 99% da inserzioni pubblicitarie.
Una buona strategia di comunicazione fatta di messaggi molto diretti e che non ammettono repliche, un sito di facile consultazione e una serie di domande mirate celate sotto forma di consigli dati al gigante dei Social e rese pubbliche così da costringere Facebook a rispondere.
Fin qui, in fondo, niente di straordinario.
Se non che, rispetto ad altre campagne del passato, Stop Hate for Profit ha incassato in pochi giorni una quantità di adesioni stupefacente.
Non solo in termini di numero di aziende coinvolte ma, e questa è la vera novità, in termini di dimensioni e peso specifico.
Coca-Cola, Unilver, Starbucks: chi ha già aderito a Stop Hate for Profit.
“Non c’è posto per il razzismo né nel mondo né sui social media.”
Recita così l’inizio dello stringato messaggio con cui James Quincey, CEO di Coca-Cola ha annunciato l’adesione della sua azienda a Stop Hate for Profit. L’azienda di Atlanta non è certo l’unico peso massimo del business marketing ad aver scelto di rinunciare al social advertising per il mese di luglio.
Verizon, Diageo, Unilever (che da sola investe 11,8 milioni di dollari l’anno su Facebook) sono state i sostegni più importanti della prima ora a cui si sono aggiunte Starbucks, Adidas, Reebok e molte altre.
Sebbene questi colossi rappresentino solo un quarto del fatturato annuo di Facebook, cifra che è perlopiù formata da investimenti di piccole e medie aziende, il rischio per la reputazione del gruppo di Menlo Park è altissimo.
E le contromisure imprevedibili.
Cosa farà Facebook?
Stop Hate for Profit terminerà a luglio o, in mancanza di risposte ritenute valide, continuerà oltre?
Facebook cederà al ‘ricatto’ delle multinazionali o continuerà a mettere al primo posto la libertà d’espressione dei suoi utenti?
E soprattutto le ragioni che hanno spinto Coca-Cola e le altre a dichiarare guerra al colosso social sono realmente legate a ragioni umanitarie o c’è dell’altro?
Domande che non hanno una risposta certa ma che, specie in un 2020 che terminerà con l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, è legittimo porsi.
E a cui noi, nelle prossime settimane qui sul D-Magazine, cercheremo di approfondire.